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Un bel passo in avanti: sintesi della stagione dei Miami Dolphins
Miami Dolphins presente e futuro: ripercorriamo la stagione della squadra del Sud della Florida e vediamo quali potrebbero essere le strategie in offseason
È andata così. I playoff ci sono sfuggiti quando li stavamo già accarezzando con i polpastrelli.
Week 17 a Buffalo: stadio difficile e avversario fortissimo che ci ha demolito 56 a 26 spiegandoci bene, con un concretissimo divario di 30 punti, quanto Miami debba ancora fare per rimbalzare e tornare ad essere una compagine competitiva così come sono diventati quei Bills, eliminati soltanto in finale di conference da dei Kansas City Chiefs i quali, in quel momento, erano gli assoluti favoriti per la vittoria finale anche al Super Bowl. E invece.
A quelle latitudini si è spezzato il sogno dei Dolphins. Se qualcuno desidera farsi del male, lo rimando alla mia analisi di quella partita.
Non è solo in base alla conclusione, però, che dobbiamo giudicare una maratona, secondo una delle più (ab)usate metafore sportive che si applicano abitualmente alla regular season NFL. Prima della 17, vi sono infatti ovviamente altre 16 settimane nelle quali ciascuna squadra disputa 15 partite. Lo scopo di questo articolo, dunque, non è quello di versare del sale sulle ferite che ci siamo fatti a Buffalo, bensì ripercorrere – quanto più rapidamente possibile, senza soffermarci troppo sulle partite che sono state commentate e raccontate nel corso degli scorsi mesi – l’intera stagione e tracciare una somma di quanto abbiano fatto i Miami Dolphins nella stagione 2020.
Un record positivo e inaspettato
Non so davvero quanti si aspettassero di chiudere la stagione con un simile record. Io no di certo. All’inizio dell’anno, nel mese di settembre, ero davvero scettico sui risultati che i Fins avrebbero potuto riportare a Miami Gardens, giunta l’Epifania che la regular season, insieme a tutte le feste, si portava via. Il roster era infatti giovanissimo – il più giovane della lega – e Miami aveva puntato forte sui rookie anche in alcuni reparti che fanno la differenza tra una vittoria ed una sconfitta, come ad esempio la linea offensiva. Lo stesso QB, Tua Tagovailoa, era una matricola e si trovava a dover fare il suo debutto nell’Olimpo del football senza aver prima potuto disputare alcuna partita di preseason. Piacciano o non piacciano, infatti, quelle amichevoli giocate nel mese di agosto, dove vincere o perdere conta meno di 0, sono una vera e propria manna dal cielo per ogni debuttante. Velocità del gioco, durezza dei contrasti, gridiron cavalcati da atleti pazzeschi; questo è il football nella NFL, abbastanza diverso dallo sport giocato – comunque ad altissimi livelli – nelle università da cui i rookie provengono e le matricole devono riuscire ad adattarsi in fretta.
Tutto era nuovo, tantissimi giocatori erano inesperti e i Bills si presentavano già come la squadra da battere, in AFC East. Non c’erano tanti sentori che potessero far pensare ad un record di 10 – 6 e sperare in un secondo posto divisionale, a settembre. Qualora ci fossero stati, in tanti avremmo firmato subito per raggiungere questi numeri, anche dovendo rinunciare ai playoff. In estate, non erano pochi gli analisti che davano i Dolphins come una squadra da 8 – 8. Io, personalmente, ero ancora più pessimista. Alla luce di ciò, non possiamo lamentarci.
Naturalmente, arrivare ad un passo, forse meno, dalla postseason e poi dovervi rinunciare dopo aver racimolato 10 W ha fatto abbastanza male all’ambiente. Specialmente se consideriamo che in NFC ci sono state squadre che hanno raggiunto i playoff con record ben peggiori. È un grande rammarico, naturalmente, però sappiamo bene di trovarci nella NFL e non nel campionato estivo di flag football disputato per alzare fondi e bersi una birra gelata, in amicizia, al termine delle ostilità; dunque non dobbiamo stupirci se tutte le franchigie giochino sempre con il coltello tra i denti. In quella Week 17 di cui scrivevo prima Baltimore ha vinto, Cleveland ha vinto, Indianapolis ha vinto e Tennesse ha vinto. Soltanto Miami ha perso, tra le franchigie AFC in lizza per il settimo seed di conference. E allora con chi vogliamo prendercela?
La stagione in flash
L’inizio della stagione 2020 non è stato certo entusiasmante per i Miami Dolphins. Al debutto assoluto arriva una sconfitta contro i New England Patriots, a Foxborough, in una pessima giornata per Ryan Fitzpatrick che si fa intercettare 3 volte e vede una difesa che non è affatto in grado di rallentare le corse di Cam Newton e i suoi Pats. L’home opener contro i Buffalo Bills va meglio ma arriva comunque una sconfitta, per quanto di misura. In week 3, nell’anticipo del giovedì notte ecco un primo sorriso: i Jacksonville Jaguars non sono all’altezza e Miami trionfa; il mese di settembre si chiude con un record di 1 – 2 e una squadra in crescita.
A ottobre incappiamo in una brutta sconfitta contro dei Seattle Seahawks che al tempo andavano fortissimo e si impongono agilmente anche all’Hard Rock Stadium; poi si va in California – che sarà uno stato fortunato per i Dolphins quest’anno – a sconfiggere con autorità dei San Francisco 49ers in un’annata da dimenticare. La partita termina 43 a 17 per Miami che è sempre in controllo e apre una grande fase di stagione per i nostri colori. Quando all’Hard Rock Stadium arrivano i New York Jets, infatti, la sfida ricorda più un allenamento che altro: la franchigia sfidante non è mai in grado di impensierirci e perde per 24 a 0. In week 7, a seguito del raddrizzamento del calendario dovuto ai casi di Covid, i Fins riposano ma la settimana fa comunque notizia perché si tratta di quella in cui Brian Flores stupisce un pò tutti, annunciando che il suo QB titolare sarebbe stato di lì in avanti Tua Tagovailoa.
La prima sfida del giovane QB lo vede subito a dover fronteggiare Aaron Donald, dal momento che i Los Angeles Rams vengono in visita a Miami nella sua prima da titolare ma il rookie dimostra di poter vincere, imponendosi 28 a 17 grazie ad una bella mano passatagli dalla sua difesa. Sarà proprio questo reparto a fare le fortune di Miami nella fase centrale della stagione. In week 9 va in scena un vero e proprio duello western nel deserto dell’Arizona: Kyler Murray da una parte e Tuanigamanuolepola Tagovailoa dall’altro non si risparmiano colpi. Alla fine trionfano gli ospiti, nella migliore prestazione offensiva del QB e – forse – dell’intera squadra in stagione. L’altra squadra di Los Angeles, i Chargers, arrivano a Miami la settimana successiva e ne escono sconfitti, con i Dolphins che possono festeggiare lo sweep alle squadre californiane in stagione. Sfortunatamente, la domenica successiva contro i Denver Broncos qualcosa non funziona e Miami perde una partita che poteva vincere. Doveva soprattutto. Quando pensiamo alla partita di Buffalo come quella che ci ha eliminato dai playoff non dobbiamo dimenticarci che se si fosse vinto al Mile High Stadium, quella in week 17 sarebbe stata semplicemente una sgambata. Con i se e con i ma – però – non si fa la storia.
Le due sfide con New York Jets e Cincinnati Bengals non sono troppo impegnative, entrambe le squadre sono infatti decisamente inferiori ai Dolphins. Sfortunatissima poi Cinci che a metà stagione ha dovuto rinunciare al suo QB titolare, la prima scelta assoluta del draft virtuale 2020: Joe Burrow. Dopo queste due sfide troviamo i Kansas City Chiefs che sono una schiacciasassi e dunque trionfano a Miami, con un TD di vantaggio. Forse si poteva fare meglio in questa occasione ma non possiamo certo fare un dramma di una sconfitta con questi mostri. In week 15 ritroviamo i Pats, in una situazione di forma ben diversa da quella di settembre. Infatti, questa volta, hanno la meglio i Miami Dolphins nei confronti di una squadra che a quel punto giocava soltanto per onorare i propri contratti.
Nel Boxing Day, la giornata di Santo Stefano, va in scena una partita pazzesca. I Dolphins vanno in Nevada, ad affrontare a domicilio i Las Vegas Raiders nel loro fantastico nuovo tempio, l’Allegiant Stadium. La partita finisce 26 a 25 per Miami in virtù di un calcio di Jason Sanders nato da un passaggio geniale di Ryan Fitzpatrick, con le mani di un difensore sulla visiera. La vittoria incendia la polveriera e l’ambiente Dolphins comincia a sperare in un finale di stagione arrembante. Dopo 7 giorni, però, ecco la doccia fredda; quella sconfitta a Buffalo che soffoca le urla in gola ai tifosi e toglie alla franchigia ogni speranza di giocarsi la postseason. È andata così, come scrivevamo in apertura.
A bocce ferme
In estrema sintesi, abbiamo ripercorso la stagione 2020 dei Miami Dolphins. La franchigia ha mostrato di aver compiuto grandi passi nell’arco di 12 mesi, raddoppiando in un anno il proprio numero di vittorie e tornando ad annusare l’odore di quei playoff che mancano dal 2016. Alcuni giocatori hanno dimostrato di essere cresciuti molto, pensiamo soltanto a Eric Rowe, Jerome Baker, Mike Gesicki, DeVante Parker o Myles Gaskin, giusto per citare alcuni nomi.
Non dimentichiamo poi l’impatto che hanno avuto i tanti volti nuovi di questa squadra. Per i rookie ovviamente è sempre difficile adattarsi ai ritmi e agli schemi della NFL, provenendo da un sistema come quello collegiale che, pur molto tecnico, si basa comunque su un regolamento e dei playbook più semplificati. La maggior parte di questi ragazzi scoprirà se è davvero un talento al livello NFL, una superstar di questo sport, o semplicemente un professionista che avrà la fortuna di orbitare attorno alla lega per qualche anno, nel corso del loro secondo anno. Ricordiamo che infatti la maggioranza dei giocatori a questo livello maturano il loro feeling per il gioco e la loro professionalità nella lega durante la transizione tra rookie year – periodo nel quale sono ancora spaesati, esterrefatti e gioiosi di avercela fatta ad arrivare in NFL – e year 2 – nel quale scoprono e dimostrano davvero quello che è il loro potenziale ai massimi livelli.
Altri volti nuovi sono quei giocatori che sono giunti nel Sud della Florida 12 mesi fa – o poco meno – durante la scorsa offseason. Tra essi vi sono alcuni nomi che hanno davvero fatto la differenza per la franchigia durante la stagione 2020. Pensiamo soltanto agli innesti difensivi e a quello che è stato il loro impatto per i risultati della squadra. Emmanuel Ogbah, Kyle Van Noy, Byron Jones, Shaq Lawson, cito questi quattro perché sono stati i più importanti tra i free agent giunti a Miami dopo il termine della stagione 2019. Ogbah è stata forse la migliore tra tutte le acquisizioni in free agency, a livello di lega. Certo, se la può giocare con Stefon Diggs e DeForest Buckner, altri grandissimi innesti, però i numeri sono impressionanti. Ogbah è stato un pandemonio sulla linea difensiva, generando sack e fumble a profusione. L’impatto del defensive end è stato immediato, inutile girarci attorno: Ogbah è stato il migliore di squadra per takeaways (ben 29) e percentuale difensiva sul terzo down (31.2% di play difesi). Le sue 9 sack guidano il reparto e hanno aiutato la franchigia a mettere agli annali il maggior numero di sack stagionali dal 2013 (41, in quella stagione furono 42). 6 delle 9 sack di Ogbah sono arrivate nel lasso temporale di 6 settimane, come fosse la cosa più normale al mondo. Nella storia dei Dolphins solo un giocatore fece meglio, nel 2002, e parlo di Jason Taylor (8). Naturalmente, JT ora indossa una giacca dorata perché è stato inserito nella Hall of Fame di questo sport. Suppongo che questa decisione sia stata presa nel giro di un paio di minuti, al massimo, da chi ha il prestigio di votare a Canton.
Per quanto riguarda l’attacco, importante è stato il contributo dato da Adam Shaheen, TE arrivato a seguito di una trade durante la offseason di un anno fa. Il giocatore ha rivelato durante un’intervista con Travis Wingfield di miamidolphins.com di essersi sentito deluso a seguito di quella trade – come spesso capita dal momento che se la tua squadra ti cede significa che non hai funzionato – ma di essersi poi impegnato fin da subito per dare il meglio di sé. Shaheen non è un TE spettacolare da vedere, come può essere il suo compagno di reparto Gesicki ma si tratta di un giocatore efficace e concreto, ottimo operaio per fare legna, metaforicamente parlando.
Un rebuilding ben avviato
Non è certo facile, in una lega competitiva come la NFL, cambiare tanti tasselli di un puzzle di franchigia come quelli che hanno sostituito i Dolphins, dal termine della stagione 2018 ad oggi, e riuscire ad assemblare una squadra competitiva in un tempo relativamente breve com’è quello di 2 anni. Naturalmente, Miami non è certo ancora una squadra che può ambire a grandi palcoscenici; le ricostruzioni serie, ben fatte, in questa lega durano almeno 3 anni – guardiamo ad esempio la stessa Buffalo, squadra di cui abbiamo già scritto e che ben conosciamo affrontandola 2 volte ogni anno, tre stagioni fa hanno dato via al loro rebuilding draftando Josh Allen per renderlo QB di franchigia e soltanto in questa postseason hanno raggiunto la finale di AFC – dunque aveva davvero poco senso aspettarci di fare molto di più nella season che si è appena conclusa. Come già scritto, ritengo che il bicchiere vada visto davvero mezzo pieno.
E per il futuro? Cosa dobbiamo attenderci? Come sempre accade, in questo periodo non è facile delineare quali strategie i front office delle 32 franchigie decideranno di sviluppare in offseason. Ed è giusto sia così; se un qualsiasi team manager giocasse a carte scoperte, non starebbe facendo bene il suo lavoro e agevolerebbe molto quello dei suoi colleghi/ rivali.
La stagione 2021 della NFL si aprirà il 17 marzo prossimo, dunque sarà in quella data che potranno essere rese ufficiali le trade già concluse (ne abbiamo già avute di importanti: Carson Wentz, Jared Goff, Matthew Stafford…) e, da quel giorno in poi, sarà concesso trattare apertamente sia tra le franchigie che con i singoli free agent lasciati liberi. Potrebbe attenderci una offseason davvero intrigante, dal momento che varie franchigie dovranno sistemare la propria situazione contrattuale in vista di un salary cap ridimensionato per la prossima stagione, in seguito allo schiaffo economico dovuto alla pandemia. Attesissimo come sempre, poi, sarà il draft NFL di Cleveland, in programma dal 29 aprile al primo maggio. La classe dei rookie anche quest’anno è davvero interessante; nel ruolo di QB c’è buona profondità, a partire dai due aprifila Trevor Lawrence e Justin Fields, così come c’è per WR e RB. Ovviamente poi, le linee saranno come al solito da tener d’occhio.
I Dolphins hanno varie strategie possibili da intavolare in questi mesi.
Le possibili strade
Sono numerosi i tasselli che ancora occorrono ai Miami Dolphins per essere realmente competitivi. Sicuramente, l’attacco ha bisogno di essere rinforzato. Si nota ad occhio nudo l’assenza di playmaker in questo reparto. Se la posizione del TE può apparire coperta, con le performance di Gesicki, Shaheen e Durham Smythe che sono di livello e continuative, quella di QB e WR appaiono in dubbio.
Personalmente, ritengo che sia assolutamente troppo presto per bocciare Tagovailoa dopo averlo visto all’opera si e no per mezza stagione, dunque il ragazzo merita di essere valutato anche sull’anno prossimo. Non sono però io il GM di Miami e questo sembra essere l’anno buono per inseguire un QB di livello sul mercato delle trade, dal momento che sia DeShaun Watson sia Russell Wilson sembrano avere dei mal di pancia presso le loro attuali franchigie. Ora, è altamente improbabile che Dangeruss se ne vada da Seattle ma Watson è ai ferri cortissimi con i Texans e ha già chiesto di essere scambiato. Ovviamente, l’operazione potrebbe non essere così semplice dal momento che c’è da assorbire il secondo contratto più esoso delle lega (solo Pat Mahomes guadagna più di Watson, nella NFL) e che Houston farà il possibile per non dover rinunciare a un campione che ha soltanto 26 anni; eppure il nome del QB attualmente in forza nel Texas fa gola a moltissimi e sembra che gradirebbe Miami come destinazione. Va considerato che inseguire lui o un altro QB di primissimo piano, comunque, significherebbe rinunciare a gran parte delle picks al draft che i Dolphins hanno faticosamente accumulato – sicuramente a tutte o quasi quelle dei primi giri – e, dunque, potrebbe alla fine rivelarsi controproducente. Una possibile strada potrebbe essere quella di archiviare già l’esperienza Tagovailoa, come scritto, e cambiare tutto nella posizione più importante in campo. A mio avviso, le possibilità che ciò accada, in questo momento, sono davvero molto poche.
Dato il problema dei ricevitori cui si è già accennato e, soprattutto forse, quello dei RB che sta diventando endemico, dal momento che in tempi recenti Miami ha prodotto pochissimo nel backfield, sembra più logico evitare di sobbarcarsi l’esoso contratto di Watson e investire buona parte del capitale, in salary cap o selezioni al draft, per circondare il QB che già ha – Tua Tagovailoa, poiché Ryan Fitzpatrick sembrerebbe affascinato dalla corte che gli stanno facendo i Denver Broncos – con armi potenti e pericolose nei reparti comprimari al QB: WR e RB. I ricevitori di Miami non sono pattume, chiariamoci subito. DeVante Parker e Preston Williams sono una buona coppia, la quale possiede numerose delle caratteristiche utili ad attaccare in NFL. Parker ha una ricezione spettacolare ed è un buon route runner, Williams è giocatore più acerbo ma anche più fisico, abilissimo a ricevere in virtù del suo catching point che potrebbe svilupparsi in uno dei top 20 ricevitori di lega. Ambedue però hanno avuto problemi fisici in passato e questo ha minato il loro rendimento. Williams, in due anni di carriera, ha già dovuto affrontare due season ending injuries, il che è quanto meno preoccupante. Occorrerà poi vedere che cosa si deciderà di fare con Albert Wilson e Allen Hurns, i due opt-out della scorsa stagione che sono entrambi in scadenza di contratto con i Dolphins. Appare difficile pensare che possano restare entrambi. Altri ricevitori che hanno fatto bene quando chiamati in causa nella scorsa stagione sono stati Lynn Bowden e, in misura minore, Mack Hollins. A roster poi c’è anche quell’Isaiah Ford che era stato spedito a New England e poi è stato ripescato una volta che i Pats, evidentemente non soddisfatti, lo hanno rilasciato. Ricordiamo poi che a disposizione di coach Flores c’è anche Kirk Merritt, undrafted free agent aggiunto alla squadra l’anno scorso ma che non è mai stato provato in partite ufficiali. Il mercato in free agency dei ricevitori sarà ricco di nomi interessanti, occorre dunque vedere se Miami opterà per rinforzarsi prima del draft o durante esso. A Cleveland si presenterà una classe di ricevitori da seguire molto da vicino, ove spiccano ovviamente il dinamico duo di Alabama – DeVonta Smith, vincitore dell’Heisman Trophy ma le cui quotazioni sono al momento in calo, e Jaylen Waddle – oltre a quello che sta diventando, negli ultimi giorni, il desiderio sempre meno segreto di numerose franchigie: Ja’Marr Chase da LSU.
Il capitolo dei running backs è invece più cupo, se così vogliamo definirlo. Da quando Reggie Bush e Lamar Miller, con tutti i loro limiti, se ne sono andati, i Fins non hanno di fatto più avuto un RB di livello. Chiunque stesse pensando a Jay Ajayi, probabilmente non ha ben chiaro il concetto di RB di livello. Parliamo di giocatori che sanno produrre con costanza e concretezza, non di runners in grado di polverizzare record una settimana e poi diventare invisibili per tutto il resto della stagione. Anche da questo punto di vista, in free agency ci potrebbero essere opportunità da prendere in considerazione (Aaron Jones e Le’Veon Bell, ad esempio); mentre al draft si potrebbe puntare sull’altro fenomeno Crimson Tide, Najee Harris – il quale potrebbe essere disponibile alla scelta numero 18, attualmente di proprietà dei Miami Dolphins – oppure su Travis Etienne di Clemson, meno elettrizzante del prospetto precedente – almeno a mio avviso – ma capace di fare il suo in un sistema che gli sia congeniale. Fuori dal primo giro, invece, si potrebbe pensare a Michael Carter o Javonte Williams, le due metà del grandioso tandem dei North Carolina Tar Heels. In definitiva, vi sono numerose mosse che i Dolphins potrebbero intraprendere qualora decidessero di percorrere la strada del rafforzamento offensivo, dando priorità a consolidare il reparto che segna i punti. Questa strategia è più probabile della precedente, quella che prevede la bocciatura di Tua.
C’è poi anche una terza strada – in realtà ve ne sono molte altre ma, per non scrivere un romanzo, mi limiterò a queste tre che sono le più chiacchierate, nel momento in cui si scrive – che passa dal massimizzare la terza scelta assoluta al draft ottenuta dagli Houston Texans a seguito della blockbuster trade che mandò in Texas Kenny Stills e Laremy Tunsil. La terza scelta è altissima e può far gola a tantissime franchigie che cerchino di selezionare il loro franchise QB del futuro. D’altra parte, sarebbe anche utile a Miami per chiamare un’ancora, un giocatore in grado di incidere fin dal day one sul successo della squadra. Che fare con questa pick? Tenerla e andare a prendere un giocatore che si pensa diventi una superstar – sarebbe il caso di uno dei tre ricevitori elencati prima o del miglior talento della lotteria, dopo Lawrence, ovvero quel Penei Sewell linea offensiva da Oregon capace di stendere una cortina di ferro di fronte al proprio QB – oppure scambiarla per chiedere una prima più bassa e altre picks, oppure giocatori congeniali agli schemi di Flores? Ambedue le scelte sono intriganti: con la prima avresti l’opportunità di chiamare un talento assoluto ma hai sempre il margine di errore che arriva con ogni draft pick – potresti ritrovarti con un bust, dunque fare un buco nell’acqua –mentre con la seconda rinunceresti a chiamare in altissimo ma compenseresti con un maggior ventaglio di possibilità.
Come si muoveranno Chris Grier e Flores? A due mesi dal draft è difficile dirlo; tra un paio di settimane abbondanti però, quando si aprirà il nuovo NFL year e i Dolphins cominceranno a operare in free agency, dovremmo avere le idee ben più chiare. Per il momento, possiamo esser felici del fatto che Miami abbia un ampio margine di manovra in vista della prossima offseason.
Autore: Mattia Mezzetti
Data di pubblicazione:
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