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NCAA: guida per haters alla Finale di College Playoff

E alla fine ci siamo. Nel giorno dell’Epifania (le 2 di notte in Italia) vedremo la conclusione di questa stagione di NCAA football.

minkah fitzpatrick e artavis scott

Non ne possiamo più, francamente, di vedere sempre Alabama alla finale di College Playoff. Sempre e solo loro, e quasi sempre in compagnia di Clemson. Sono le due squadre che hanno praticamente ingolfato gli almanacchi (e anche gli archivi online) negli ultimi 5 anni. Perciò, ci converrebbe fare un passo indietro, mettersi comodi, e rivedere perché la finale di Santa Clara al Levi’s Stadium potrebbe essere un momento spartiacque per l’intero football collegiale.

ALABAMA

Avete dominato, e va bene. Avete il miglio coach alla guida di una squadra NFL travestita da NCAA, che ogni weekend, da inizio settembre in poi, si veste di cremisi, e va in giro per il sud-est degli Stati Uniti, a fare quello che vuole. Avete anche vinto (e in maniera abbastanza rocambolesca) il SEC Championship, e poi l’Orange Bowl. Volete lasciare qualcosa anche agli altri, o questa vostra bulimia pantagruelica non vi ha ancora saziato. In più, Nick Saban ha sclerato forte a Miami, facendo temere un infarto da parte di chi gli stava nella sua sideline.

Per i Crimson Tide, l’intera regular season in SEC conference è stato come un allenamento, come una preparazione a domani notte: 14 vittorie consecutive in stagione, e arrivare alla finale perdendola, viene considerata come uno smacco personale da Mobile a Birmingham. Ma come sono arrivati fin qui? Il percorso lo abbiamo capito, entriamo meglio nei dettagli: Louisville (51-14), Arkansas St (57-7), Ole Miss (62-7), Texas A&M (45-23), University of Louisiana Lafayette (56-14), Arkansas (65-31), Missouri (39-10), Tennessee (58-21), LSU (29-0), Mississippi St. (24-0), Citadel (50-17), Auburn (52-21), SEC Championship contro Georgia (35-28), Orange Bowl contro Oklahoma (45-34).

Troppo forti, troppo dominanti. Esagerati nei punteggi, e nel modo di vincere. Ecco perché Alabama dovrebbe, forse, starsene tranquilla a casa, e per qualche anno, non giocarsi nessun titolo. Lasciate a qualche altra università, la possibilità di alzare al cielo qualche trofeo, insomma.

CLEMSON

Si spera che diventi la criptonite annuale di Alabama: infatti, già una volta vinsero, in una finale in cui Jalen Hurts si spense (proprio come un telefonino), e permise il sorpasso di Clemson. Al volante c’era Deshaun Watson, che prese in mano la situazione, e diede a Clemson l’agognassimo titolo. Poi, lui va a Houston, anno da rookie che parte proprio come era finita la sua carriera universitaria, e va a sbattere contro un infortunio. Questo, si spera, sarà l’anno della redenzione, ma non c’è spazio per parlarne. Cambio di pilota: Trevor Lawrence! Molto biondo, molto alto, capello al vento, tipico ragazzo che nei college fa strage, e fra la stampa americana, già si azzardano i paragoni con Payton Manning, Matthew Stafford e altri (ma si… mettiamoci dentro anche un Blake Bortles e anche un Patrick Mahomes, mica siamo noi a farli). È fuor di dubbio la sua solidità: nel Cotton Bowl di Dallas, contro Notre Dame, è entrato nella difesa dei Fighting Irish come un coltello caldo nella marmellata. Però, domani notte, non incontrerà Duke, o Louisville, o magari altre squadrette. Incontrerà l’Università dell’Alabama.

Anche per Clemson, si tratta di una stagione perfetta, tutte vittorie, che l’hanno portata fino alla finale. Ma c’è un grossissimo problema: l’anno scorso, Alabama e Georgia si erano incontrate a metà strada (per così dire) ad Atlanta, al nuovissimo stadio dei Falcons. Il ritorno dei Bulldogs ad Athens, oltre che essere stato rapido, deve essere stato anche mesto. I Crimson Tide, invece, ci tornano dopo aver vinto una finale ai tempi supplementari.

Ora si vola fino a San Francisco, e Donald Trump permettendo (famosa fu la sua amnesia dell’inno nazionale, che canto un po’ si e un po’ no), sarà una bella sfida di giovano giocatori che vogliono farsi vedere, e farci vedere, un bel po’ di football collegiale.

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