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Lo chiamavano Bulldozer: intervista esclusiva a Bud Spencer
Intervista esclusiva a Bud Spencer, ricordando i tempi di “Lo chiamavano Bulldozer”, insieme a Sergio Angona e Carlo Pedersoli Junior.
Intervista esclusiva a Sergio Angona e a Carlo & Carlo Pedersoli
di Roberto Rizza
Nel 1978 usciva nella sale cinematografiche il film “Lo chiamavano Bulldozer”, prima pellicola italiana a trattare, con una simpatica parodia, l’argomento “football americano”. Protagonista uno degli attori più amati da sempre dal pubblico del bel paese: Bud Spencer, al secolo, Carlo Pedersoli. Assieme a lui tante giovani comparse con il vizio della “palla lunga un piede” che in quegli anni era ristretta a pochi neofiti. Tra loro Sergio Angona, futuro campione e coach apprezzato a livello nazionale. A 33 anni di distanza abbiamo voluto intervistare in esclusiva Sergio Angona e due componenti della famiglia Pedersoli, entrambi di nome Carlo: rispettivamente nonno Bud Spencer e il nipote Carlo Pedersoli Junior, talentuoso linebacker, fresco campione d’Italia under18 con la maglia dei Grizzlies Roma.
Intervista a Sergio Angona
Ciao Sergio, 33 anni fa usciva nelle sale cinematografiche “Lo chiamavano Bulldozer”: prima e unica pellicola italiana dedicata al football americano con protagonista Bud Spencer. Sappiamo che hai avuto una parte nel progetto e pertanto ti chiediamo come sei riuscito a far parte del casting di un film che conserva uno spazio speciale nel cuore di tutti gli appassionati di questo sport (e non solo)?
La produzione venne a conoscenza dell’esistenza di una squadra di football americano grazie ad un articolo apparso su “Oggi” o su “Gente, non ricordo bene. Fui contattato dall’aiuto regista Paolo Fondato che in seguito venne a Piacenza per visionare la squadra dal vivo. Così ebbe inizio l’avventura.
Il film è ambientato in Toscana. Rammentiamo alcune scene girate in un locale che aveva la sua sede in un “galeone” ormeggiato nel porto di Viareggio. Parlaci della location e di come fu scelta. Forse fu la vicinanza alla base di camp Darby, la cui squadra rivaleggia con i ragazzi allenati da Bud, a determinare la scelta dei luoghi dove girare?
Gli esterni furono girati tra Marina di Pisa, Tirrenia e Viareggio; la partita e tutto ciò che riguarda le scene di gioco ed allenamento nella base di Camp Darby. La maggior parte dei componenti della squadra “USA” erano proprio militari di stanza a Camp Derby.
Siamo nel 1978. Da lì a poco si sarebbe disputato il primo campionato della “LIF” e sarebbe stata creata l’AIFA. Le prime bozze di squadre andavano dalle Pantere Rose (futuri Rhinos) ai Gladiatori, dai Lupi Roma (in seguito Grizzlies) ai Frogs Gallarate. Così narra la storia. Pensi che “Lo chiamavano Bulldozer”, pur facendo una parodia simpatica sulla palla lunga un piede, abbia in qualche modo contribuito a creare interesse per il football in Italia?
Per quanto riguarda i Frogs ricordo che a quei tempi erano già attivi. Due loro atleti avevano partecipato al nostro camp estivo. Delle squadre romane non so molto, ma se una produzione di Cinecittà venne fino a Piacenza per cercare una squadra è probabile che in quel periodo l’attività riguardante il football, nella capitale, non fosse ancora al top.
Parlaci di Bud. Per intere generazioni resta un mito che non potrà mai tramontare. I suoi film sono ancora oggi attuali e non mancano d’arricchire i palinsesti dei principali network. Inevitabile chiederti come fosse sul set.
Con il grande Bud non ho avuto modo, purtroppo, d’approfondire la conoscenza. Molto professionale, simpatico e piuttosto riservato aveva un caravan enorme nel quale si richiudeva quando non si girava. Noi abbiamo legato maggiormente con gli stuntman che, peraltro, erano sempre gli stessi in tutti i suoi film.
Un aneddoto che puoi raccontare in merito alla produzione del film, un particolare o qualcosa di divertente che nella pellicola non abbiamo potuto vedere.
La cosa più complessa per la regia era convincere gli americani che non dovevano girare azioni credibili di football! La pellicola era infatti una parodia. Per questo alcune scene di gioco furono ripetute un’infinità di volte. Una curiosità: tra le cheerleaders figurava Lori Del Santo agli inizi della sua carriera.
Oggi i film che trattano di football, ovviamente di produzione americana, hanno cast imponenti arricchiti spesso da ex giocatori e stelle di altri sport. A quei tempi la “vostra squadra” era formata da ragazzi giovani e sbarazzini. Forse era un tipo di cinema meno spettacolare, ma decisamente più genuino. Cosa ne pensi?
Le attuali pellicole sul football non sono ovviamente paragonabili a “Lo chiamavano Bulldozer”. Il pubblico americano conosce perfettamente il gioco. Allora, in Italia, non lo conosceva praticamente nessuno.
Un’ultima domanda, questa volta di fanta cinema. Stiamo scivolando nel semi serio. Oggi sono di moda i “sequel”. Non crediamo che ce ne sarà uno per “Lo chiamavano Bulldozer”, ma nel caso qualche produttore avesse l’idea, l’accetteresti ancora una “particina”?
No, ho altri interessi ora, ma con un ruolo da protagonista e ovviamente con un compenso adeguato ci potrei pensare!
Intervista a Carlo Pedersoli Junior, giocatore e nipote di Bud Spencer
Carlo Pedersoli: ovvero uno dei più promettenti talenti in forza ai Grizzlies Roma. Come ti sei avvicinato al football americano?
Mi sono avvicinato al football americano grazie a un amico che mi ha costretto a provare.
Molti ti conoscono per le tue doti di giocatore, ma pochi sono a conoscenza di una tua parentela con uno degli attori più amati e conosciuti del cinema italiano. Parliamo di un altro, celeberrimo Carlo Pedersoli: per tutti Bud Spencer. Quanto ha pesato sulle tue scelte sportive avere come nonno un grande campione di nuoto, amico del football? Ti ha mai parlato della nostra disciplina? E se sì, in che termini?
Nello sport avere un nonno come Bud Spencer mi ha fornito carattere. Sempre a dispensare lezioni di vita e consigli. Magari potessi diventare quello che e’ stato lui nello sport! A lui il football piace molto, è fiero di me!
“Lo chiamavano Bulldozer” resta una pietra miliare per gli appassionati di cinema e football. Non si tratta semplicemente dell’unica pellicola italiana dedicata alla “palla lunga un piede”, ma di un autentico spot promozionale che da lì a poco, siamo nel 1978, avrebbe contribuito a favorire il lancio di questo sport in Italia. Inutile chiederti che impressioni ne hai tratto. Ha in qualche modo influenzato la tua scelta?
“Lo chiamavano Bulldozer” lo vidi quando ero molto piccolo, mi colpirono molto l’abbigliamento e la spettacolarità di questo sport.
Cosa trovi nel football americano che ti appaga in maniera particolare ? Cosa possiede in più rispetto ad altre discipline?
Il football americano è lo sport di squadra per eccellenza. Sono molto legato ai miei compagni di squadra, considero molto importante questo legame.
I Grizzlies rappresentano una delle squadre maggiormente ricche di storia nel panorama non solo del football capitolino, ma anche di quello italiano. Respiri queste sensazioni all’interno dello spogliatoio ? Qual è il tuo rapporto con la società e i compagni?
Avere per allenatori leggende di questo sport per me è molto importante. Chi meglio dei Grizzlies ti può insegnare il football a Roma?
Sono passati 33 anni, ma una “particina” in “Lo chiamavano Bulldozer”, confessa, non ti sarebbe dispiaciuta, vero? Ti riconosci nell’animo sbarazzino di quei ragazzi (pur considerando che la pellicola rappresenta una simpatica parodia del football)?
Si, mi sarebbe piaciuto molto avere una parte in “Lo chiamavano Bulldozer”. E’ un film molto divertente da vedere, sicuramente ancora di più da interpretare.
Ci dicono che in fatto di amore per lo sport e robustezza non sei secondo a nonno Bud. Buon sangue non mente?
Fortunatamente sono abbastanza “messo bene” fisicamente grazie ai geni di mio nonno, anche se lui alla mia età era già il doppio di me, ma i geni non bastano. E’ con l’allenamento che si cresce in tutti i sensi.
Un tuo saluto agli appassionati di football italiani e un augurio per il futuro del nostro amato sport.
Ringrazio voi per questa intervista. I migliori auguri vanno a voi che diffondete questa disciplina… Il vostro affetto verso mio nonno mi fa provare grandi emozioni, sono fiero di lui!
… e infine due parole con Bud Spencer: l’intervista a Carlo Pedersoli
Ciao Bud. Ti rubiamo un minuto per portarti il più affettuoso saluto di tutti gli appassionati, dirigenti, tecnici e giocatori di football americano in Italia. Non possiamo dimenticare né l’amicizia che ti lega al nostro sport, né i tuoi film tra i quali “Lo chiamavano Bulldozer” resta il nostro preferito! Puoi mandare un saluto al movimento rammentando quei giorni?
Ciao a tutti gli appassionati di football americano… Innanzi tutto volevo congratularmi con voi per l’organizzazione e la serietà di questa federazione in cui risplende in tutto e per tutto la bellezza di questo sport, di cui sono fiero mio nipote faccia parte. “Lo chiamavano Bulldozer” è un film che mi ha appassionato tanto, un ambiente come quello l’ho trovato difficilmente su altri set, poi mi sono veramente divertito nell’interpretare un giocatore di football e dare botte a destra e a manca…
Che memoria conservi di “Lo chiamavano Bulldozer”? Puoi raccontarci qualche aneddoto? Lo giraste nel 1978 e da lì a poco nacque un grande interesse per il football in tutto il bel paese. Noi pensiamo che in qualche maniera il tuo film abbia costituito un fantastico spot promozionale per la disciplina.
Si è vero. Prima del film in italia il football non era così famoso, poi lo è diventato. Sicuramente “Lo chiamavano Bulldozer” ha contribuito a pubblicizzare lo sport che è esploso nei primi anni ’80. Sì, perché mio figlio Giuseppe aveva proprio vent’anni quando iniziò a giocare a football a Milano, nei Rams.
Oggi la famiglia Pedersoli dona al movimento un promettente giocatore: Carlo Pedersoli Junior. Lo so che stiamo giocando in famiglia, ma che giudizio puoi esprimere, da grande sportivo quale sei, su tuo nipote e su questa sua avventura nel football?
Mio nipote è uno tosto, come me. Il mio augurio è che riesca a fare quanto di buono ho fatto io per lo sport italiano, il sangue lo ha di sicuro, la testa non gli manca. Spero che viva l’esperienza dello sport in maniera costruttiva e che si tolga molte soddisfazioni in tutto ciò che farà.
Grazie Carlo, o meglio… grazie Bud. Sappi solo che oggi i nostri figli ci chiedono entusiasti di vedere i tuoi film. Pochissimi attori possono dire di aver divertito tre generazioni! Ti aspettiamo a braccia aperte per qualche evento di football. Intanto ti salutiamo con ammirazione e affetto. Con gratitudine FIDAF, Federazione Italiana di American Football, Grizzlies Roma e Roberto Rizza, tuo fan da quasi 40 anni.
Grazie a tutti voi. Sapere che lei è mio fan da quasi 40 anni mi fa emozionare e la ringrazio per l’affetto che mi ha dato con questa intervista. Per di più ringrazio tre generazioni che mi sono state vicine, ma soprattutto spero di averle fatte divertire.
Un caloroso saluto, con affetto
Bud Spencer
Autore: Fabio Gentile
Data di pubblicazione:
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